Condivido una lettera, un articolo che ho trovato su orizzonte scuola a firma del prof.Galiano Enrico, insegnante e scrittore . Trovate l'articolo originale cliccando QUI.
“Caro Ministro dell’Interno Matteo Salvini , ho letto in un tweet da Lei
pubblicato questa frase: “Per fortuna che gli insegnanti che fanno
politica in classe sono sempre meno, avanti futuro!”. Bene, allora,
visto che fra pochi giorni ricominceranno le scuole, e visto che sono un
insegnante, Le vorrei dedicare poche semplici parole, sperando abbia il
tempo e la voglia di leggerle. Partendo da quelle più importanti: io
faccio e farò sempre politica in classe.
Il punto è che la politica che faccio e
che farò non è quella delle tifoserie, dello schierarsi da una qualche
parte e cercare di portare i ragazzi a pensarla come te a tutti i costi.
Non è così che funziona la vera politica. La politica che faccio e che
farò è quella nella sua accezione più alta: come vivere bene in
comunità, come diventare buoni cittadini, come costruire insieme una
polis forte, bella, sicura, luminosa e illuminata. Ha tutto un altro
sapore, detta così, vero? Ecco perché uscire in giardino e leggere i
versi di Giorgio Caproni, di Emily Dickinson, di David Maria Turoldo è
fare politica. Spiegare al ragazzo che non deve urlare più forte e
parlare sopra gli altri per farsi sentire è fare politica. Parlare di
stelle cucite sui vestiti, di foibe, di gulag e di tutti gli orrori
commessi nel passato perché i nostri ragazzi abbiano sempre gli occhi
bene aperti sul presente è fare politica. Fotocopiare (spesso a spese
nostre) le foto di Giovanni Falcone, di Malala Yousafzai, di Stephen
Hawking, di Rocco Chinnici e dell’orologio della stazione di Bologna
fermo alle 10.25 e poi appiccicarle ai muri delle nostre classi è fare
politica.
Buttare
via un intero pomeriggio di lezione preparata perché in prima pagina
sul giornale c’è l’ennesimo femminicidio, sedersi in cerchio insieme ai
ragazzi a cercare di capire com’è che in questo Paese le donne muoiono
così spesso per la violenza dei loro compagni e mariti, anche quello,
soprattutto quello, è fare politica. Insegnare a parlare correttamente e
con un lessico ricco e preciso, affinché i pensieri dei ragazzi possano
farsi più chiari e perché un domani non siano succubi di chi con le
parole li vuole fregare, è fare politica. Accidenti se lo è. Sì, perché
fare politica non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla come te: vuol
dire spingerli a pensare. Punto. È così che si costruisce una città
migliore: tirando su cittadini che sanno scegliere con la propria testa.
Non farlo più non significa “avanti futuro”, ma ritorno al passato. E
il senso più profondo, sia della parola scuola che della parola
politica, è quello di preparare, insieme, un futuro migliore. E in
questo senso, soprattutto in questo senso, io faccio e farò sempre
politica in classe”.